I Backstreet Boys, come gli Nsync, hanno segnato una stagione della musica ma cosa c’era dietro le quinte è degno di un horror.
In quel periodo storico musicale che si muove a metà degli Anni ’90 non si poteva accendere la radio nè guardare MTV senza incappare in un pezzo dei Backstreet Boys.
Poco più avanti nel tempo sarebbero arrivati anche gli Nsync e, oltre a questi due gruppi molto famosi, si muoveva nel panorama pop tutta una serie di boy band che facevano sognare fan di tutto il mondo. Ora una nuova serie svela alcuni retroscena della vita di queste boy band. Vite legate a doppio filo a un’unica persona, che ha avuto il merito di costruirle ma che poi nei fatti ha rischiato di distruggerle completamente.
La nuova docuserie Dirty Pop: The Boy Band Scam è uno dei nuovi prodotti disponibili su Netflix. Al centro, la vita costruita intorno alle più famose boy band degli Anni ’90 da una persona che si è poi rivelata essere il peggior nemico dei giovani cantanti che promuoveva: Lou Pearlman. Il famosissimo manager responsabile della creazione delle boy band si scopre infatti essere un personaggio con un’ombra inquietante.
La docuserie ripercorre la vita di Pearlman a partire da quando dava in leasing aerei privati alle grandi star internazionali della musica, passando per la fascinazione dei New Kids On The block che portò poi proprio Pearlman a cercare di ricreare un po’ in laboratorio qualcosa di simile. Il risultato furono i Backstreet Boys e poi a ripetizione altri gruppi tra cui gli Nsync. La serie si avvale di moltissimi materiali d’archivio e anche di moltissime interviste che svelano come la maggior parte dei protagonisti di questa era della musica sia diviso tra il ricordo di quel momento di massima gloria musicale e personale e la tanta angoscia dovuta proprio alle manovre del produttore.
Manipolazioni di ogni tipo che per esempio riuscirono a portare nelle casse del produttore la maggior parte degli introiti che le boy band da lui fabbricate producevano, attraverso contratti creati appositamente. Dietro e oltre la musica, Pearlman aveva poi messo su un giro di servizi per aspiranti cantanti che però servivano anch’essi a quanto pare a portare solo soldi nelle sue casse.
Ciliegina sulla torta anche la stessa attività di noleggio di aerei non era altro che un raffinatissimo schema Ponzi, che serviva a distrarre il pubblico come in un gioco di prestigio per aumentare il proprio guadagno. Dirty Pop non è certo una serie che celebra la musica degli Anni ’90 ma forse permette di avere una prospettiva diversa sul mondo della musica e in particolare su questo periodo storico cui ora guardiamo con nostalgia e a cui guardano anche con nostalgia le nuove generazioni.
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